Tradizioni Popolari e Santi

24.09.2016 18:42

Chi viene nel Salento per la prima volta si rende subito conto che questa è una terra in cui sono ancora vive tradizioni antichissime, spesso legate ad una strana commistione tra sacro e profano.

La stessa tradizione che fa riferimento alla “pizzica” o alla “taranta” è un fenomeno che da anni fa discutere psicologi, antropologi, sociologi...certo è che si tratta di una tradizione sempre viva legata alla vita in campagna e oggi diventata un modo per incuriosire e dare un motivo in più alla voglia di scoprire questa terra magica.

Il tarantismo è un fenomeno legato al morso di un ragno chiamato Lycosa tarantula, le vittime più frequenti erano le donne, in quanto durante la stagione della mietitura, le raccoglitrici di grano erano maggiormente esposte al rischio di essere morsicate da questo fantomatico ragno.

L’unica via di guarigione per i tarantati era la musica e la danza, attraverso un vero e proprio esorcismo a carattere musicale. Ogni volta che un tarantato esibiva i sintomi associati al tarantismo, dei suonatori di tamburello, violino, organetto, armonica a bocca ed altri strumenti musicali andavano nell'abitazione del tarantato oppure nella piazza principale del paese. I musicisti cominciavano a suonare la pizzica, una musica dal ritmo sfrenato, e il tarantato cominciava a danzare e cantare per lunghe ore sino allo sfinimento. La credenza voleva che, durante questa  danza, anche la taranta si consumasse e soffrisse sino ad essere annientata. Alla leggenda popolare può essere in realtà legata anche una spiegazione strettamente scientifica: il ballo convulso, accelerando il battito cardiaco, favorisce l'eliminazione del veleno e contribuisce ad alleviare il dolore provocato dal morso del ragno e di simili insetti. Non è quindi da escludere che il ballo venisse utilizzato originariamente come vero e proprio rimedio medico, a cui solo in seguito sono stati aggiunti connotati religiosi ed esoterici.

Come spesso accade per i rituali a carattere magico e superstizioso, anche a questa tradizione si cercò di dare una "giustificazione" cristiana: così si spiega il ruolo di San Paolo, ritenuto il santo protettore di coloro che sono stati "pizzicati" da un animale velenoso, capace di guarire per effetto della sua grazia. La scelta del santo non è casuale poiché una tradizione vuole che egli sia sopravvissuto al veleno di un serpente nell'isola di Malta.

Il tentativo di cristianizzazione del tarantismo non riuscì però completamente. Infatti, durante la trance le donne tarantate esibivano dei comportamenti di natura oscena, ad esempio mimando rapporti sessuali oppure orinando sugli altari. Per questi motivi la chiesa di San Paolo di Galatina, dove i tarantati venivano condotti a bere l'acqua sacra del pozzo della cappella, venne sconsacrata.

Il legame tra la taranta e la festa di San Paolo è ancora vivo, un tempo numerose erano le tarantata che ogni hanno, il 29 Giugno, si recavano presso la cappella a ripetere il rituale dell’esorcismo; oggi si tratta per lo più di ricostruzioni simboliche, spesso a uso e consumo di turisti e curiosi, ma non è detto che recandosi all’alba in quel luogo magico non si riesca ad assistere, con il dovuto rispetto, al ripetersi di un rito antichissimo.

La pizzica oggi è soprattutto musica che diverte gente di tutte le età, numerosi sono i gruppi che allietano le tantissime sagre e feste patronali che si svolgono praticamente in ogni paese del Salento e in ogni momento dell’anno. È qui che si possono osservare le diverse accezioni che pizzica e taranta hanno assunto nel corso del tempo.

La pizzica pizzica o pizzica de core è una danza di corteggiamento, durante la quale i due ballerini rimangono molto vicini, ma senza mai toccarsi. È tutto un gioco di sguardi e di movimenti che dimostrano l'uomo corteggiatore e la donna corteggiata, la quale però sfugge se l’uomo prova ad avvicinarsi. La donna sventola un fazzoletto, per scegliere un compagno di ballo sempre nuovo e per donare infine il fazzoletto solo alla persona che durante il ballo è stata in grado di rapirle il cuore assecondando ogni suo desiderio e fantasia.

A Torre Paduli, frazione di Ruffano, in occasione della festa di San Rocco, il 15 Agosto, si può assistere alla danza scherma o danza delle spade, un complesso rituale accompagnato dal suono di armoniche a bocca e degli immancabili tamburelli. I movimenti dei danzatori mimano un combattimento con i coltelli, simbolicamente sostituiti dall’uso di una forte gestualità delle mani (la punta dell’indice e del medio protese) e attraverso ampie movenze delle braccia. Lo scopo della danza è cercare di colpire l’avversario seguendo le fasi fisse del combattimento: provocazione, attacco, difesa, finte, colpi proibiti. Sono coinvolti solo due ballerini, sostituiti uno per volta da un rappresentante di quel pubblico che intanto accerchia suonatori e ballerini, formando le cosiddette ronde e accompagnando la musica col battito delle mani e il suono della voce.

Un’altra tradizione importante del Salento è legata al fuoco, spesso durante le feste patronali un modo per festeggiare il Santo è proprio quello di accendere una focara.

Particolarmente sentite sono quelle legate alla festa in onore di S. Giuseppe, il 19 Marzo. Il termine “focara” indica un grande falò durante il quale vengono bruciati, secondo la tradizione, i rami di pino e ginepro usati per il presepe e tutta la legna da ardere rimasta inutilizzata d’inverno. La leggenda narra che le focare venissero accese dalla gente per far riscaldare il povero San Giuseppe e, per l’occasione, gli si offrivano anche cibo e bevande (da qui le tradizionali “tavole di San Giuseppe”).

La focara per antonomasia resta quella di Novoli che si tiene il 17 gennaio in onore di S. Antonio, la cui realizzazione impegna tutto il paese e il cui spettacolo richiama una grande folla di devoti o semplici curiosi.

Un’altra tradizione che ha sempre a che fare col fuoco è quella della Quaremma o Caremma, che prende il nome dal francese “Careme”, cioè “Quaresima”. Si tratta di un fantoccio di paglia con le sembianze di una brutta vecchia vestita a lutto. Rappresenta la moglie del Carnevale e compare sulle terrazze delle case quando le festività carnevalesche sono finite e quindi il marito può dirsi morto. Le Caremme fanno così capolino dalle terrazze quando inizia la Quaresima, i quaranta giorni di astinenza e penitenza che precedono la festività della Santa Pasqua. Si tratta di una vecchia che regge tra le mani il fuso e la conocchia, simboli della laboriosità e del tempo che trascorre. Ai suoi piedi ha un’arancia nella quale sono conficcate sette penne, una per ogni settimana di astinenza e sacrificio che precede la Pasqua, giorno in cui il fantoccio viene rimosso dalle terrazze e bruciato.